qahwat al-bursah
al-tugariyyah è l'ufficio serale di ale. ci va quando chiude il
primo, quella supermoderna biblioteca alessandrina, tanto malmessa da
far violenza all'epiteto storico di cui abusa (a causa
dell'incompetenza del politicante fedele a mubarak che finge da
direttore speciale plenipotenziario - grand.bastard.figl.diputt.).
ci andiamo insieme, ale
ed io. a starcene da solo. mentre io guardo e assaporo la vita,
quello sfigato (nel senso ministeriale del termine) di ale ci va a
riflettere, a finire di verbalizzare le sue doverose elucubrazioni
accademiche. a quanto mi suggeriscono i suoi sensi l'atmosfera è
proficua: il vocio sommesso, il tintinnio di tazzine e bicchieri, lo
sbattere di tessere di domino o di tawlah riescono a concentrarlo.
molto più del baccagliare dei giovani utenti della biblioteca, che
la trasformano in uno zoo.
poi costa poco, è un
posto cosiddetto sha'abi, popolare, la shisha è buona e anche caffè
te e quant'altro. il servizio è perfetto. nella sua imperfezione.
camerieri misteriosamente belli, facce da cinema, giuro.
maestosamente dignitosi finanche nelle divise più scalcagnate
(variamente assortite ma non per questo meno identificabili).
pigramente alacri, olimpici direi. ma infaticabili e combattivi.
non c'è che dire: è
un gran bel locale. della sua nostalgicamente passata grandezza e
truce attuale essenzialità ci siamo innamorati a prima vista (amore
alla portata di tutti: basta spogliarsi di tutte le pretese
fighettistiche che da tempo deturpano i ritrovi nostrani). locale
ampio, occupa l'intero piano terra di uno di quei vecchi palazzi di
cui la corniche alessandrina si adorna, come uno dei pochi denti sani
nella bocca di un pappone d'altri tempi (che son sempre tempi
attuali, in questo senso). si riconosce da lontano, le porte a vetro
che lo circoscrivono, col loro legno pittato verde da darti
l'illusione, per un pericolosissimo attimo, di stare in grecia (o in
turchia, o fate voi...) l'arredamento non è mai stato cambiato. in
fondo perché sbarazzarsi di tavolini in marmo su supporto liberty in
ferro pressofuso? è come fare colazione su dei gioielli d'epoca,
dall'incastonatura un po' traballante forse. e questo è un indice di
serietà.
altro indizio è la
quantità di mozziconi e cartacce che popolano un bistrattato
pavimento di mattonelle piuttosto povere (rimossi una o due volte
giorno, si accumulano con instancabile pervicacia): vuol dire che è
molto frequentato, e un motivo ci sarà. e l'appeal del locale è
matematicamente superiore alla sua trasandatezza.
basta frequentarlo per
capire che non di un brocco si tratta ma di un cavallo di razza.
è una questione di
dettagli. come le piccole teiere in acciaio in cui ti servono il tè
(ovviamente mica parlo del lipton in bustina, ma dello shay kushari,
con o senza menta, che si deposita liberamente sul fondo del
bicchiere - la tazza è una mania degli inglesi, in tutti i sensi - e
devi insegnare alle labbra come va bevuto). dai loro beccucci esce un
flusso irredento, anarchico, refrattario ad infilarsi nel bicchiere.
questo piove un po' dovunque, sul vassoio in acciaio, nella piccola
zuccheriera servita a parte (diabete mon amour!), su scarpe, borse e
abiti. il tutto succede con una costanza e pervicacia che crea però
una gioiosa atmosfera che sembra di prendere il tè con il cappellaio
matto.
ah! rileggo tutto e mi
rendo conto di quanto sia bello non essere in grado di descrivere i
posti che si amano. un nuovo dettaglio ne salta fuori all'improvviso.
oppure s'inciampa in un'altra prospettiva per inquadrarli, in una
sensazione diversa che li abitava, da sempre forse. vi si potrebbe
dedicare uno studio infinito. che sarebbe stupido e crudele, del
resto.
ma a me basta una sola
cosa. quando ale si siede, il pomeriggio o la sera, basta un cenno di
saluto, a volte, sovrappensiero, neanche quello. non c'è bisogno di
ordinare, nè di dire "il solito". subito arriva una shisha
e quello che, a seconda della sua faccia e dell'ora, il cameriere di
turno ritiene sia la richiesta. o forse la necessità, che prova a
indovinare, quasi come una mamma. dev'essere così che ci si sente un
po' meno lontani.
Sono passato a salutarti e ringraziarti per la tua iscrizione a 'cassetti confusi'.
RispondiEliminase ti piace musica seguo anche questo blog:
http://myguitarists.blogspot.com/
un caro saluto.
A me il posto sembra descritto benissimo.
RispondiEliminaCiao e buon caffè!
purtoppo devo contraddirti: ho omesso i gatti. grandi, piccoli, belli o brutti, vivono in questo caffè (come negli altri). come se fosse casa loro passano sotto la tua sedia. si sdraiano su quelle vuote, stiracchiandosi, e sembrano qualsi aspettare il cameriere. d'inverno avevano anche la sfrontatezza di azzuffarsi rumorosamente come sanno fare.
RispondiEliminae sembrano sempre provare a ricordarmi, attraverso le loro consuete maniere misteriose, che forse farei meglio a fare come loro.