sabato 14 gennaio 2012

non viaggiare, tornare


è da un po' che ho smesso di viaggiare. non faccio altro che ritornare. un ritornare cronico.

viaggiare presuppone un movimento continuo, un flusso. si attraversano i posti senza mai mettere radici, senza il tempo di restarne coinvolti, invischiati. la mente del viaggiatore è calibrata in modo peculiare. il suo spirito di osservazione è sintonizzato sulla novità, sulla comparazione continua tra le differenze. il viaggiatore è ingordo di esotico. ma resta sempre se stesso. attraversa luoghi altri, si mischia a gente mai conosciuta nè immaginata prima, senza macchiarsi. come impronte sull'acqua.
il suo è un amore traditore, leggero come il bagaglio. una passione la cui intensità è pari alla velocità con cui già si è allontanato, per andare incontro al prossimo oggetto del desiderio. un amore egoista che non vuole essere ricambiato, perenne ricerca di un altro luogo remoto, di altre vite indifferenti. da guardare come in un acquario. o da contemplare di spalle, e assicurare a contenitori a prova di fuga, memorie sigillate: foto, diari, racconti.

resta sempre sé stesso, il viaggiatore. anzi corrobora la sua identità, tempra le sue convinzioni. non ha nostalgia che di posti e vite lasciate per strada. una nostalgia disimpegnata, la promessa di ritornare è roba da marinai. sa sempre dov'è casa, che è una sola.

quasi lo invidio. ma in fondo mi va bene così.

sono tre mesi che vivo ad alessandria (d'egitto) ed è la terza volta che ritorno. o meglio, la sesta: torno in italia, poi torno ad alessandria, per tre volte di seguito. sembra un gioco dell'oca schizofrenico in cui capito sempre (di mia volontà) sulla casella "tornate al via". è una questione di sensazioni. ogni volta che sbarco dall'aereo e mi trafilo nel trasporto pubblico fino alla mia abitazione, mi si fa incontro una sensazione di domesticità. mi avvolge un tiepido torpore dal sapore di un bentornato.
per questo non riesco a raccontarla, alessandria. sarebbe solo noioso. esattamente come è successo nelle altre stazioni del mio incongruente peregrinare, nei posti io ci scivolo dentro. come fossi liquido, mi offro, desidero essere assorbito. e allora non è più una questione di contrasti, di abbozzare uno schizzo. non si tratta di definire un là, un loro, a partire da un qua, un noi. è un intimo accumulurarsi di infinitesimali dettagli. un gioco di continue variazioni sul tema. tante versioni di "me quotidiani" che diventano semplici frammenti confusi tra tanti altri.
le strade sono sempre le stesse, a volte bagnate, a volte affollate, a volte serene, altre deserte. i miei colleghi, la gente per strada, i negozianti, i camerieri dei caffé, i padroni di casa. tutti loro sempre sé stessi. a volte allegri, altre no, a voltre distratti, preoccupati o semplicemente stanchi.
le scoperte si fanno minuzionse, affettuose. come notare che il proprio amore ha un nuovo taglio di capelli, o indossa qualcosa di nuovo.
e infatti mi sento come un innamorato, davanti a questa città mediterranea. mischiando timidezza e audacia non chiedo altro di essere fatto suo. ma non è così semplice. qualcosa va storto. questa forma di amore deve avere consistenza gassosa. si espande. e mi riporta ad altri ritorni. a tutto il resto della mia vita, che mi manca. lacerandomi con dolcezza. vorrei dilagare e raggiungere tutto, abbracciarlo. appartenere a tutto per non perdere niente. ma il cuore (credo sia quello) già sa, ha già scelto. ha casa e amore. che hanno un aspetto, un sapore esatti, e abitano un luogo preciso. che è altrove, non ad alessandria. allora il cuore mi si riempie di nostalgia, mentre rinfoltisce le scaglie della sua corazza. sopporta paziente le mie contraddizioni, queste "infedeltà geografiche". e mi lascia fare.
a mia insaputa, il cuore ha già da tempo imparato a viaggiare.

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