giovedì 12 aprile 2012

mavafacchiu (mah-vah-fuck-you)


leggo sul sole 24 ore, che ormai è diventato una testata mutante, a volte più controcorrente di una repubblica che sembra essere finita in mani occulte quanto sbagliate, e un corriere che si appresta a rifarsi il look da chierichetto. Che il politecnico di milano, vuole passare a fare tutti i corsi in inglese dal 2014. Ebbene. Sono degli imbecilli. Degli incapaci. Dei criminali. Secondo me (giusto, avvocato?). per un bel po' di ragioni.

primo: stanziare dei sodi per attrarre insegnanti stranieri fa accapponare la pelle. essere straniero fa titolo? i concorsi sono aperti a tutte le nazionalità. neanche rompiamo tanto le palle con certificati di lingua italia, noi. poi, non mi sembra un bel modo di combattere la fuga dei cervelli. pagando, meglio, altri per venire al loro posto.
secondo: dicono che è per aumentare il numero di studenti stranieri in italia (3,5 circa contro cose come il 20 30 % nei soliti francia UK e USA. cazzata. il numero di studenti stranieri in italia è basso perchè gli studi universitari in italia sono i più difficili in europa (oltre a - ma non sempre - meno "profittevoli"). per attrarli basterebbe migliorare il livello di visibilità internazionale degli atenei. e ciò si fa costringendo professori e rettori a fare il loro lavoro seriamente, alzando gli standard qualitativi ai livelli intellettuali e creativi di molti prof e ricercatori, invece di cazzeggiare e buttare soldi nel cesso come fanno abitualmente. sono tanti i dettagli trascurati e "maltrattati". a partire dal downstaffing generalizzato che affligge tutti i centri di ricerca. ma sopratutto le problematiche sono organizzative: i prof anziani dovrebbe fare a coordinatori di dipartimento, usare la loro visibilità ed esperienza per coordinare e pensare prospettive di ricerca, stringere convenzioni, e organizzare incontri di livello, invece di stare dietro la cattedra. il contatto con gli studenti a una certa età non viene bene, oltre allo "spreco di risorse", è una questione fisica - insegnare è faticoso - e anche di vicinanza "socio emotiva", cioè ci si potrebbe stare sul cazzo a vicenda visto che si viene da due mondi piuttosto diversi. ovviamente molti sono costretti a insegnare -dico i corsi "normali"- fino alla pensione perché le università non hanno altro da offrire (i doc e i postdoc e gli associati sono costi impensabili ed insensati per gli analfabeti che si succedono nei rettorati ministeri italiani).
terzo: è per abituare gli studenti ad un ambiente internazionale. buffoni. moltiplicare le borse di studio per farli andare all'estero non è meglio? per quanto riguarda gli stranieri che vengono in italia, i prof. parlano anche inglese e francese (e altre lingue) con loro e sono normalmente disponibili a colmare il divario. anche se non sono perfetti, capiscono e si fanno capire, poi le università offrono corsi di italiano, ed è un fatto di "ospitalità" ed "educazione" imparare la lingua del posto in cui si vive (sensibilità che manca totalmente a quelle rape degli anglofoni.
quarto: lo studio dell'inglese, e la sua imposizione a livello internazionale è un fatto avvenuto manu armata (la ricaduta nell'ambito accademico è semplicemnete "pulita"). adesso è un buisiness che frutta a USA UK e consociati un pacco di soldi, tra diritti di testi di studio, test di valutazione eccetera. ora questi soldi cadono sugli studenti italiani, che saranno la maggioranza, mentre gli stranieri - minoranza - saranno avvantaggiati.
sarebbero tante le alternative.
potrebbero fare un università Italo-American, per dirne una, inter ateneo magari, ponendo delle condizioni di equità nella valutazione dei titoli, o di gemellare iniziative simili in america o uk. sarebbe bene cominciare a combattere per una più equa considerazione dei nostri titoli, visto che lorsignori anglofoni li snobbano e sottoclassificano - ingiustificatamente - solo perché non assomigliano ai loro.
sviluppare le capacità linguistiche degli studenti italiani è un lavoro che si fa a scuola. perché non assumere più insegnanti di lingua, e migliorare le condizioni di diffusione della cultura? questa, ovviamente, è una domanda dolorosamente retorica
inoltre, l'internazionalizzazione non è a senso unico, nel senso che "uno" si deve internazionalizzare assimilandosi ad altri più forti. l'italiano non sarà una lingua diffusa, ma gli italiani rappresentano buona parte del cervello mondiale. poi, il fatto che gli "anglofoni" detengano le strutture produttive è irrilevante quanto lo è la proprietà dei macchinari industriali ai fini della lotta di classe. ovvero, non è che perché loro hanno i laboratori, il pensiero diventa automaticamente loro.
ora con un po' di serietà in più si potrebbe far avere all'italiano maggiore risalto come lingua accademica. è realistico. con la cattedra con cui faccio il dottorato e altri colleghi in italia abbiamo tirato su, a budget zero, una rivista accademica di letteratura araba in italiano (gli abstract in inglese), con molte partecipazioni straniere (non solo nel comitato scientifico). il bacino di peer reviewers è internazionale. sono in grado di valutare un articolo in italiano. inoltre nel settore alcuni studi innovatori sono fatti in italiano. e quando serve chiunque si arrangia e si mette a capire cosa c'è scritto.
credo come esempio è chiaro. basta investire in sè stessi e nelle risorse, e sono tante, che si hanno e le cose possono andare davvero in modo diverso.
ma come al solito i coglioni che comandano sono vittime di questa sindrome fighettistica da "embiéi in iucchéi (MBA in UK)". perpetuano semplicemente la catena di potere alla quale hanno avuto accesso. muli di lusso con i paraocchi in pratica. e restiamo schiacciati da questi miti idiotamente esterofili. che mi puzza tanto come uno dei principali collanti ideologici di questa nuova classe dirigente -e il governo monti non fa eccezione, anzi ne è illustrissimo rappresentate. tutti pedissequi servetti di paradigmi vincenti. la cieca idiozia del market(t)ing, scimmiottare senza criticare, per (forse) due lire in più, ma a costi esorbitanti per altri e per tanti, che si è troppo tronfiamente ignoranti, e -ripeto- incapaci, in malafede, per vedere.

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