martedì 6 aprile 2010

ad esempio (anche) a me piace il sud

giorni tranquilli. vedere la città semichiusa, per il suo lato cristiano, i giorni di pasqua. mentre sul lungomare è tutto un pullulare di gente, intenta a tutto pur di godersi il sole primaverile. da ramlet el-baidà رملة البيضاء a sud, passando per gli scogli del piccione, detti la rauchè الروشة e fino a quando la corniche sfuma nelle inerti geometrie della downtown. 
quindi cammino, tanto. pigramente mi do da fare, domani un'altra intervista. e sostanzialmente penso. raccolgo i pezzi e li metto insieme. ecco: vedo quanto ci ho capito.

molte cose ancora sono brandelli di idee che frullano nel confortevole e relativamente poco inquinato vuoto della mia testa. poche altre però sono riuscite a sedimentare una parvenza di coscienziosa analisi. si tratta di quello che cercavo, di quello che mi sono ritrovato, e di quello che vi ho trovato dietro.

non ho niente contro la modernità. anzi. mi piace. mi piace quando è progresso, libertà, agio, uguaglianza. cose che voglio e che possono essere godute appieno solo se condivise. non posso fare a meno di detestare, invece, il suo corollario globalizzato. la falsità della tecnica, della scienza a fine a sé stessa. di questo mondo post-positivista ancora arrogantemente sicuro dei suoi calcoli. il mondo di banche, dei costruttori, del branding e del marketing. cazzate, più idolatre del più sfrenato paganesimo, che avocano a sé il ruolo di ultime ed inconfutabili verità. solo perché della verità sono i maggiori azionisti.

cammino per downtown. vedo le insegne luminose, le catene di caffè, fast food. i ristoranti e gli alberghi di lusso. sotto di esse serpeggiano le automobili di lusso, gente elegante intenta a consumare con indifferenza. 
ma vedo anche la gente dei sobborghi che viene sul lungomare in taxi o vecchie auto. con le loro sedie di plastica, cibo da asporto musica che spara dalle portiere aperte, teiere, fornelletto e narghilè. torma che pacificamente riconquista quello che le spetta. almeno quello può prendersi senza essere sparata addosso. l'odore del mare. il panorama. lo struscio.
fast-camping urbano a cortissimo cabotaggio.

mi ricorda da che parte un tempo avevo deciso di stare. mi ricorda che mi piace il sud. 
me lo ricorda il fastidio con cui mi trovo inseguito da questo ordine delle cose della globalizzazione. fatto di spazi ordinati. ma gelidi, vuoti, costruiti in base alle vecchie regole dell'esclusione. l'esclusività. la pronipote mignotta delle enclosures. un mondo per pochi che vogliono tutto identico. secondo le loro regole. da new york, a londra, fino ad a hongkong, passando per beirut, i paesi del golfo. enclavi per la nuova casta di dominatori internazionali. a loro immagine e somiglianza. minchioni, limpidamente aridi. la fobia per la concretezza, la gratuità.

me lo ha ricordato viaggiare fuori beirut. verso tripoli طرابلس, o sidone e tiro. ben poco come viaggio. ma quanto basta. confesso: mi piace la medina. la medina araba. quella che è ancora com'era una volta. sarà povera, sporca, disagevole e forse anche poco sicura, poco attraente per gli investimenti esteri. ma ha qualcosa di umano. qualcosa che la tiene ancorata ad una realtà in cui mi riconosco facilmente.  mi ritrovo.
come anche la gente, quella normale, quella a cui mi mescolo nelle mie peregrinazioni, mi fa sentire più a mio agio. mi insegna più cose. è là che ho fatto amicizie. è all'università statale, quella povera, che gli studenti si sono dimostrati disponibili. dove una mia domanda genera sincera curiosità, interessamento, non uno sbrigativo liquidare con informazioni pratiche. è tra le immondizie che ho visto spuntare, pur se striminziti, gli arbusti più belli. 
forse, semplicemente, si tratta di un mondo che capisco di più.
 
la mia è una posizione politica, sì. ideologica. certo non pretendo che sia questo il mondo perfetto. tutt'altro. c'è l'ingiustizia, leggi silenziose di sopraffazione reciproca. dietro le cose domina una morale spesso più cieca che protettiva. c'è quella bieca miseria che spesso corrode l'orgoglio, gravida del desiderio di quelle stupide agiatezze alle quali, forse avendole a portata di mano, mi ribello.
ma almeno è un mondo perdente. e come tutti i perdenti ha ai miei occhi le fattezze degli eroi. la loro generosa caparbietà. imperfettamente sinceri.

questo mondo, almeno, non si compra una maschera da vincente per coprire la sua ingiustizia. non paga con facili battute gli applausi di un pubblico idiota. non compra accondiscendenza al prezzo di omologazione e stordita tranquillità. 

è quel mondo più vicino a quell'età dell'innocenza e della possibilità, che abbiamo ormai perso in europa. dove anche se vuoi sputare per terra devi prendere la relativa patente. è il luogo da dove vorrei incominciare. 
da dove purtroppo già altri hanno incominciato, e generato le stesse brutture che mi perseguitano. la lezione l'hanno imparata dai peggiori maestri. forse però è dove semplicemente vale la pena di restare.
è il luogo che è dovunnque trovi la forza e la pazienza di cercarlo. si impara, più di quanto si possa trovare.

è il letame delle nostre canzoni.
quelle che parlano di fiori.

Nessun commento:

Posta un commento

 
Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License.